Non sono titoli di film, sono frasi entrate nella lingua di tutti i giorni, sono espressioni che fanno subito pensare a quelle mani giganti che facevano volare schiaffi mirabolanti. Bud Spencer, morto a 86 anni, è un nome che ha fatto la storia del cinema di tutti. Quel cinema che tutti hanno visto, in sala, prima, e davanti alla tv altri milioni di volte. Perché in Italia non c’è praticamente nessuno che abbia visto almeno una delle pellicole girate con Terence Hill. Erano Carlo Pedersoli e Mario Girotti, ma funzionavano meglio con gli pseudonimi inglesi.
Tutta la serie di Trinità, che così veniva chiamato e continuavano a chiamarlo così, i western nostrani «Si può fare… amigo», «Anche gli angeli mangiano fagioli» con Giuliano Gemma. E ancora Piedone, a Hong Kong, d’Egitto e africano, «I due superpiedi quasi piatti». E decine di altri titoli indelebilmente impressi nella memoria di chi è cresciuto fra gli anni Sessanta e Ottanta, ma anche di chi è bambino oggi e quando li incrocia in tv ride come ridevano i genitori.
Un gigante buono, un omone con la barba. Quello delle commedie scanzonate e sguaiate, ma anche il cinema d’autore con Ermanno Olmi, di cui disse «forse mi sono sentito per la prima volta un attore, ho sempre detto che io sono stato solo un personaggio», diretto da Dario Argento in Quattro mosche di velluto grigio e una pellicola di denuncia civile come Torino nera di Carlo Lizzani. Era un cantante da serenate cieco ingaggiato da Leonardo Pieraccioni in Fuochi d’artificio ed era apparso anche in Quo vadis?, quando c’era la Hollywood sul Tevere. Su tutti però la coppia comica con Terence Hill premiata con un David Di Donatello alla carriera nel 2010.
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